Un'alleanza preziosa per il nostro mare
[🌊 BluMed #14] Per la serie "Voci del mare", conosciamo meglio la Water Defenders Alliance e come unire gli sforzi per il bene delle acque
Il mare è in pericolo e, purtroppo, lo sappiamo da tempo ormai. L'inquinamento delle acque rappresenta una delle più gravi minacce ambientali del nostro tempo. Plastica, idrocarburi, cambiamento climatico e il conseguente deterioramento degli habitat naturali stanno soffocando mari e oceani, con conseguenze potenzialmente disastrose per l'intero ecosistema.
In questo nuovo appuntamento con la rubrica Voci del Mare ho fatto una chiacchierata con Lajal Andreoletti, Head of Enviro Projects di LifeGate, per farci raccontare della Water Defenders Alliance, un'iniziativa volta a unire gli sforzi di aziende, cittadini, istituzioni e ricercatori nella lotta contro l'inquinamento delle acque.
Dalle origini dell'alleanza alle sfide più urgenti da affrontare, il quadro è preoccupante ma allo stesso tempo incoraggiante, perché la svolta potrebbe arrivare proprio grazie a noi.
Un’alleanza per agire tutti insieme
Cominciamo dalle origini. Come nasce l'idea di Water Defenders Alliance? Ma soprattutto, a chi si rivolge e come opera quest’alleanza? “Dal 2018 abbiamo deciso di occuparci di mare, laghi e darsene cittadine per affrontare il problema dell’inquinamento da plastiche e microplastiche. Oggi siamo presenti in circa 100 porti in Italia, e abbiamo raccolto l’equivalente in peso di oltre 10 milioni di bottigliette di plastica che, se messe in fila percorrerebbero quasi due volte la lunghezza del nostro paese”.
Un interesse per la salvaguardia dei nostri bacini che è stato fin da subito molto votato alle azioni pratiche, e quindi più efficaci: “In questi anni, - racconta Lajal Andreoletti - il nostro dialogo con le università, con gli enti di ricerca e con le start up italiane è diventato sempre più fitto e abbiamo compreso quanto potenziale ci fosse in termini di soluzioni praticabili molto tangibili, misurabili e science based, che rappresentano una chiave di lettura importante in termini di economia rigenerativa e di ristorazione dei nostri ecosistemi e habitat sempre più fragili”.
Tante possibilità che avevano bisogno però di una realtà che svolgesse il ruolo di raccordo. E il nome “Alleanza” è quanto mai esplicativo: “Fare “squadra” nel nostro paese non è sempre facile, anche a causa di vecchi retaggi culturali che creano diffidenze, linguaggi distanti, a tratti ritenuti incomprensibili. Ci siamo posizionati come un “mediatore” linguistico, culturale e scientifico, forti del dialogo che abbiamo dal 2000 con la nostra community di oltre 5 milioni di persone e con le imprese. L’obiettivo è di mettere insieme i rappresentanti della società civile che, a vario titolo, rappresentano elementi fondamentali per risolvere i problemi causati negli anni proprio dalla mancanza di conoscenza e da pratiche di produzione e consumo rivelatesi controproducenti per la salute del nostro Pianeta, quindi della nostra”.
Così abbiamo creato la Water Defenders Alliance, una grande alleanza inclusiva composta da aziende, cittadini, porti, istituzioni, enti di ricerca e università, che solo agendo insieme possono davvero fare la differenza e generare un impatto concreto per difendere la salute delle nostre acque dalle principali minacce alla loro salute (inquinamento da plastiche, da idrocarburi e fragilità degli habitat).
La fragilità del nostro mare, il potere delle nostre azioni
E guardando al Mediterraneo, cosa possiamo dire? Sappiamo che il nostro mare non se la passa benissimo, per questo ho domandato a chi lo difende quotidianamente di raccontarci in che condizioni è in questo momento: “Abbiamo brutte e buone notizie. - spiega Lajal Andreoletti - Il nostro prezioso mar Mediterraneo è letteralmente soffocato da oltre 570 mila tonnellate di plastiche che accoglie ogni anno, pari al peso di oltre 50 torri Eiffel, con una concentrazione del 7% di tutte le microplastiche globali”.
Ma non è finita qui, purtroppo: “C’è poi il grosso problema dell’inquinamento chimico prodotto dagli sversamenti accidentali di idrocarburi che causa problemi diretti sull’ecosistema e sull’ossigenazione dell’acqua. Si stima che siano circa 600.000 le tonnellate di petrolio che finiscono ogni anno nel nostro bellissimo mare. Infine, a causa dei cambiamenti climatici, dell’inquinamento da plastiche e idrocarburi e della presenza di specie “aliene”, anche i nostri habitat unici sono in crisi”.
Ospitando ben 94 diverse tipologie di habitat e il 7,5% di specie animali e vegetali esistenti a livello globale, il Mediterraneo, seppur un mare piccolo che copre meno dell’1% di superficie di tutti i mari del mondo, è considerato a livello mondiale un vero e proprio hotspot di biodiversità e tutte le cause del suo male sono legate alle attività antropiche.
Ma da qui arriva la buona notizia, secondo Lajal Andreoletti: “Tanto siamo stati la causa di questi problemi, quanto possiamo e dobbiamo essere noi, noi tutti, parte della soluzione. Il ruolo della Water Defenders Alliance mira proprio ad accendere un riflettore su quello che ognuno di noi può e deve fare per cambiare lo stato delle cose, perché le soluzioni, oggi esistono e sono accessibili". Per noi italiani il mare è identitario, ma dobbiamo ricordarci anche che il mare fornisce circa la metà dell’ossigeno che respiriamo, cattura circa un terzo delle emissioni di CO2 che produciamo ed è fonte preziosa di vita e di sviluppo economico”.
Plastica sì, ma non solo…
È chiaro a tutti noi che i problemi sono diversi. Ho chiesto quindi quali sono le sfide più difficili e più urgenti per la Water Defenders Alliance. E se, tra i risultati già raggiunti, c'è qualcosa che rende particolarmente orgogliosa l’Alleanza.
“Direi che le tre macro sfide che abbiamo individuato, l’inquinamento da plastiche, da idrocarburi e la fragilità degli habitat, sono strettamente connesse e tutte urgenti”, spiega Lajal Andreoletti, introducendo un argomento che di solito è meno dibattuto rispetto alla più “classica” plastica: “In termini di consapevolezza, ci siamo resi conto che sul tema degli idrocarburi, in generale, c’è una scarsissima conoscenza e ben poche soluzioni davvero efficaci, efficienti e sostenibili. Quando vediamo le iridescenze sulla superficie dell’acqua, il noto effetto arcobaleno, dobbiamo sapere che rappresenta solo un piccolo sintomo di un problema più grave e complesso. Infatti, basta un singolo litro di petrolio per inquinare un milione di litri di acqua”.
Può sembrare un tema lontano dalla nostra quotidianità e quindi dal nostro raggio d’azione, ma in realtà non è così, come ci spiega la responsabile dei progetti ambiente di LifeGate: “Tutti abbiamo in mente i grandi incidenti ambientali, grandi barche che affondano e disperdono litri di olio in acqua, ma sono in pochissimi a comprendere che ci sono una serie di gesti pressoché quotidiani, soprattutto nella stagione estiva, che contribuiscono a questo annoso problema: le cosiddette manovre “operazionali” eseguite anche da piccole imbarcazioni da diporto e dai pescherecci. Ad esempio, il rifornimento della barca, la manutenzione del motore e molto frequentemente la pulizia delle acque di sentina, ovvero tutti i liquidi che si depositano sulla parte più in basso nello scafo di un'imbarcazione che, purtroppo, molto spesso vengono sversati in mare aperto rilasciando in acqua sostanze nocive per l’ambiente”.
Per far fronte al problema, LifeGate ha proposto nell’ambito della Water Defenders Alliance le spugne FoamFlex, brevettate e sviluppate dall’azienda italiana T1 Solutions: “Sono spugne che si possono usare in porto e a bordo delle imbarcazioni per prevenire, raccogliere e stoccare gli sversamenti accidentali di oli. Le spugne sono idrofobe e oleofile, possono essere utilizzate fino a 200 volte e sono in grado di assorbire, con un solo chilo di materiale, fino a 6 tonnellate di idrocarburi”.
“Siamo orgogliosi di poter coinvolgere, già da quest’anno, decide di porti e centinaia di diportisti nell’utilizzo di questi innovativi kit che ci permetteranno di fare cultura sulla prevenzione di questo problema enorme e per lo più sommerso”, aggiunge Lajal Andreoletti.

Il cambiamento inizia da noi
Spesso tutti noi quando ci troviamo di fronte a un problema troppo grande (e globale) pensiamo di non poter dare un contributo davvero valido e, di conseguenza, ci scoraggiamo. Ma è davvero così? Qui mi ricollego a quanto accennato prima e chiedo, c’è un modo in cui ognuno di noi può sentirsi coinvolto e fare la propria parte?
“Questo è il punto centrale, troppo spesso si delega a qualcun* altr* trovare la soluzione o agire e invece ogni persona ha il diritto e il dovere di essere parte della soluzione. Banalmente, gli oltre 100 dispositivi “cattura plastica” che abbiamo installato in Italia ci riportano costantemente un comportamento di acquisto e di dispersione degli imballaggi, soprattutto alimentari, composti da plastiche monouso”.
“Il cambiamento - sottolinea Lajal Andreoletti - inizia dalla nostra spesa, favorendo le scelte che vanno nella direzione dell’economia circolare e dalle nostre case, anzi dalle nostre cucine. Ad esempio, è ancora enorme il volume di oli alimentari che vengono erroneamente gettati negli scarichi domestici. L’olio delle conserve o il residuo di olio delle fritture deve essere raccolto in appositi contenitori e conferito nei punti di raccolta degli oli esausti. Ricordiamoci che basta un solo litro di olio a contaminare un milione di litri di acqua. Non è solo una questione etica e di responsabilità civile, è un altro punto di forte connessione con la nostra salute: tutte quello che facciamo ci torna letteralmente indietro”.
E ci torna indietro nei modi peggiori, anche se non ce ne accorgiamo immediatamente: “La plastica dispersa si disgrega, diventa microplastica, viene confusa dai pesci per cibo che nutrendosene rientrano nella nostra catena alimentare. Sapete che in media ogni settimana mangiamo l’equivalente di una carta di credito di plastica?”
Lo stesso vale per la dispersione degli oli alimentari. “Il nostro ruolo è quello di cambiare atteggiamento, influenzare le persone che conosciamo a seguire il nostro esempio virtuoso, spingere il mondo delle istituzioni ad avere standard di rispetto dell’ambiente sempre più alti e a scegliere come cittadini e come consumatori, i prodotti e servizi più sostenibili che le aziende ci offrono”, conclude Lajal Andreoletti.
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