Mare fermentato: l'umami dell'antichità
[Taccuini mediterranei] Breve viaggio alla scoperta dell'ingrediente più prezioso della cucina mediterranea antica
Sono nato dalle viscere del mare. Mi chiamano liquamen, ma il mio vero nome è garum. Il mio odore faceva arricciare il naso persino ai marinai più rudi, eppure mi versavano come oro liquido sulle pietanze dei patrizi. Viaggiavo dentro anfore marchiate, attraversando il Mare Nostrum per raggiungere le tavole dell'Impero.
Fermentazione, pazienza e sale: questi erano i miei ingredienti. La mia anima era fatta di attesa, la mia essenza di mare concentrato. Oggi mi cercano negli abissi, tra i relitti, ma la mia eredità vive ancora nelle cucine di Cetara.
Amo le contraddizioni del Mediterraneo. Questo mare che unisce e separa, che nutre e divora. E tra i simboli che meglio raccontano queste contraddizioni c’è il garum, l'antico condimento romano che potremmo quasi dire che più puzzava, più valeva. Mi hanno sempre affascinato questi paradossi: come poteva un liquido dall'odore così intenso da far storcere il naso essere così prezioso da superare il valore dell'olio?
Il gusto (e l’odore) del mare che fermenta
Pensa a un liquido denso, ambrato come il miele ma con il profumo intenso del mare. Si preparava con interiora di pesce e piccoli pesci azzurri, alternati a strati di sale e lasciati per settimane a macerare in vasche di pietra sotto il sole caldo del Mediterraneo. Ti lascio solo immaginare che odore poteva emanare…
La fermentazione trasformava questo miscuglio in un composto spesso, marrone, intensissimo. A quel punto veniva filtrato con cura: la parte liquida era il prezioso garum, il residuo solido, chiamato allec, finiva sulle tavole dei meno abbienti. E nulla si sprecava, in un mondo dove il mare era vita.
Era come una magia silenziosa: il sole e il sale lavoravano insieme, scomponendo lentamente la carne dei pesci, liberando sapori che nessun fuoco avrebbe mai potuto creare.
Il gastronomo romano Apicio inseriva il garum in almeno una ventina delle sue ricette: lo versava sulla carne, sul pesce, persino sulle uova. Potremmo dire che era l'umami1 dell'antichità, quel quinto sapore che dà profondità a tutto. Il grande protagonista dei banchetti romani, dove veniva servito in preziose ampolle e versato a gocce, quasi come fosse un elisir.
Una produzione imperiale
Si racconta che la salsa di qualità migliore arrivasse dalle coste spagnole. Il più pregiato era il garum sociorum, ricavato dallo sgombro e prodotto proprio in queste terre. Le anfore che lo contenevano seguivano rotte commerciali che attraversavano tutto il Mediterraneo, risalivano la Gallia, raggiungevano persino le coste nebbiose della Britannia. Alcune di queste anfore riposano ancora sui fondali del mare, sigillate dal tempo, custodi di un sapore che il mondo ha dimenticato.
E a Baelo Claudia, antica città romana del sud della penisola Iberica e oggi silenzioso sito archeologico accarezzato dal vento, pare che il garum nascesse più profumato, più intenso. Non ne abbiamo la prova certa, ma considerato il fascino del luogo, dove l'azzurro del Mediterraneo si fonde con il blu profondo dell'Atlantico, non faccio fatica a crederci. Quel che è certo è qui si possono ammirare le antiche vasche di pietra dove avveniva la trasformazione delle interiora di pesce in garum: le cetariae, come le chiamavano i Romani.
Quando il vento soffiava nella direzione giusta, l'odore delle cetariae si poteva sentire a chilometri di distanza. Un odore che per noi oggi sarebbe insopportabile, ma che per gli antichi era il profumo della ricchezza. Vederle ora, queste vasche vuote e silenziose, con il mare che brilla all'orizzonte, è come ascoltare l'eco di un mondo scomparso, dove il tempo aveva un ritmo diverso. Un po’ come accade passeggiando in una tonnara in disuso.

Ma le tracce di questa produzione non si trovano solo in Spagna. Sono visibili a Pompei, come lungo la costa di Lixus, in Marocco. Anche perché l'impero intero ne era goloso, come racconta Plinio il Vecchio informandoci dell’elevato costo che aveva e anche dei possibili utilizzi per curare certi malanni.
Tempo e contaminazione, gli ingredienti del Mare Nostrum
Mi piace pensare al garum come metafora del Mediterraneo stesso: un luogo dove le cose fermentano, si trasformano, si contaminano. Dove ciò che sembra scarto diventa tesoro. Un luogo dove il tempo è un ingrediente fondamentale.
Il Mediterraneo è sempre stato questo (e speriamo continui a esserlo): un grande calderone dove culture, sapori, idee si mescolano lentamente, creando qualcosa di prezioso e inaspettato.
Tanti di noi avranno assaggiato quella che è considerata la “discendente” diretta del garum, ovvero la colatura di alici di Cetara. È un'eco lontana di quel sapore antico, ma condivide la stessa filosofia: il mare concentrato in gocce, il tempo che trasforma, l'intensità che non si annacqua.
Quando camminiamo sugli scogli e sentiamo quell'odore intenso di alghe, di pesce, di salsedine concentrata, che a molti infastidisce, dovremmo imparare a fermarci sempre almeno un istante. Chiudere gli occhi e chiederci se non è forse questo l'odore perduto del garum, se non è questa l'essenza stessa del Mediterraneo: qualcosa che a prima vista — o a primo olfatto — respinge, ma che nasconde un'intensità che diventa, col tempo, irresistibile.
Questa è proprio una delle eredità più preziose e perdute del Mediterraneo: la pazienza di attendere che ciò che appare sgradevole riveli il suo vero valore. Una lezione che, in tempi di consumo frenetico e di sapori annacquati, dovremmo davvero riscoprire.
Ma dimmi, tu lo assaggeresti quel sapore dimenticato? Quel mare fermentato che valeva più dell'oro?
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