Se l'Italia ha paura del mare...
[🌊 Blu Mediterraneo #9] Di libri belli da leggere e di come non bastano migliaia di chilometri di coste a fare dell'Italia un Paese di mare.
L’Italia è davvero un Paese di mare? Se ti dicessi di no, probabilmente penseresti che sono impazzito. Soprattutto considerando gli oltre ottomila chilometri di coste che caratterizzano la nostra penisola. Ma la mia non è una provocazione, bensì una considerazione stimolata dalla lettura di un libro che ci mette di fronte a questa riflessione. Mi riferisco a "L'Italia ha paura del mare" di Francesco Maselli (NR edizioni).
Ogni capitolo è un saggio “dai confini della penisola”, con cui andiamo in esplorazione profonda del rapporto complesso che lega la nostra nazione al Mediterraneo. E sorpresa delle sorprese (o forse non poi così tanto), pagina dopo pagina ci rendiamo conto che al posto di ammirare le nostre coste, siamo un Paese che preferisce guardare sempre a nord. Siamo, citando il libro, “aggrappati alle Alpi”.
Dalle vicende storiche dei nostri antenati romani alle più recenti vicissitudini dei porti di Trieste e Genova, dal travagliato rapporto della Sardegna col mare alla pesca tradizionale in “via d’estinzione” in Sicilia, dalle tragedie contemporanee alle attuali sfide politiche ed economiche… Sono tanti gli esempi che testimoniano come il mare rimane per molti un gigante sconosciuto, temuto e, paradossalmente, trascurato.
Con le sue parole e gli incontri fatti lungo la Penisola, Maselli è bravo a raccontarci come la paura del mare non sia soltanto un sentimento irrazionale ma una componente intrinseca della nostra cultura e storia. È vero, la paura ci preserva dal pericolo, ci rende cauti, ci spinge a valutare i rischi prima di agire. Ma è anche vero che affrontare ciò che temiamo può rivelarsi l'atto più coraggioso e liberatorio che ci sia. E in Italia, questa dualità si manifesta in un forte contrasto tra l'attrazione verso la maestosità del mare e il timore ancestrale che suscita.
Le storie e le leggende presenti nel libro parlano di un legame tra gli italiani e il mare fatto di rispetto, timore e venerazione. Questo perché il mare è stato protagonista di momenti di prosperità ma anche di tragiche svolte, influenzando profondamente l'identità delle comunità costiere.
E in questo racconto il mare non è dunque solo un elemento naturale ma diventa uno specchio del nostro stile di vita. Due esempi significativi: sapevi che una volta in Sardegna i terreni sul mare venivano lasciati alle donne perché considerati di minor valore? E che tra Massa Lubrense e la piana di Sorrento sono i giardini a indicarci la distanza emotiva e culturale dal mare? Più sono lontani dall’acqua e più sono curati, mentre vicino alla costa regna quasi l’abbandono.
Ma nel libro, Maselli non trascura di esaminare anche il rapporto tra italiani e mare sotto il profilo economico e lavorativo. E qui il discorso si fa complesso, nel senso che sono tanti i temi e moltissime le sfumature. Dall’antica pratica della tonnara, radicata in una tradizione millenaria, che simboleggia una forma di convivenza sostenibile con il mare e che ora - minacciata dall'oblio e dall'industrializzazione - rischia di svanire assieme alle conoscenze dei vecchi maestri del mare, fino alla situazione dei porti italiani e la gestione delle Zone Economiche Esclusive (ZEE), che svelano ulteriori contraddizioni nel nostro approccio a questo elemento.
Basti pensare che, mentre da un lato l'Italia possiede un patrimonio marittimo inestimabile e una posizione strategica nel Mediterraneo, dall'altro assistiamo a una cronica sottovalutazione delle potenzialità economiche e logistiche che il mare offre.
Una disattenzione nei confronti dell'elemento marino che si riflette anche nella gestione delle crisi umanitarie. Impossibile non toccare anche questo argomento se si parla di paura del mare.
Tra le ultime pagine del libro è emozionante il parallelo tra il recente e tragico naufragio di Cutro e le parole del Comandante Salvatore Todaro - protagonista della vicenda del Kabalo durante la Seconda Guerra Mondiale, diventata un film e un bel libro di Sandro Veronesi ed Edoardo De Angelis - che rievocano un'etica del salvataggio radicata nella storia e nella cultura marittima italiana:
Quando al comandante italiano fu fatto notare che un comandante tedesco non avrebbe mai dato la precedenza alla vita dei naufraghi sugli ordini ricevuti e il perseguimento della missione, Todaro rispose prontamente con una frase rimasta celebre, e ancora ricordata dalla Marina militare: “Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle”.
È con questo retaggio che l’Italia deve fare i conti. Si salvano tutti, perché siamo italiani, e questo fa parte del nostro carattere nazionale. Tanto quanto la paura del mare.
Riconnetterci con il mare potrebbe, non solo ridisegnare il nostro futuro economico e culturale, ma permetterci anche di riscoprire radici comuni che ci legano indissolubilmente al blu profondo del Mediterraneo.
"L'Italia ha paura del mare" è, secondo me, una chiamata alla riscoperta del mare come parte essenziale della nostra eredità e come fonte inesauribile di ispirazione e vita.
In attesa delle prossime onde tra queste pagine, usciamo a guardare il mare non solo come orizzonte da ammirare ma come spazio da vivere, rispettare e amare.
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