Non un mare che ci appartiene, ma un mare a cui apparteniamo
[🌊 BluMed #24] Letture salate: viaggio tra le pagine e le onde di "Mare Nostrum"
Il Mediterraneo respira. Lo fa da millenni, con un ritmo che non conosce sosta. Inspira in inverno, quando le onde si gonfiano e il cielo si fa plumbeo. Espira in estate, quando le acque si placano e accolgono le nostre traversate. E noi, figli di questo mare, continuiamo a danzare con il suo respiro esattamente come facevano i nostri antenati.
Leggendo "Mare Nostrum" di Lorenzo Cipriani mi sono ritrovato a pensare che certi libri sono come i viaggi: lasciano tracce che ritornano nel tempo.
E se il viaggio è già di per sé un libro aperto, cosa succede quando un libro racconta un viaggio per mare? Le onde si moltiplicano, le storie si intrecciano, e noi ci ritroviamo sospesi tra passato e presente, tra mito e realtà.
Quando scrivo mi piace mescolare le acque, ovvero i concetti in cui mi imbatto nelle mie giornate e nelle mie letture. E così, per descrivere questo viaggio, voglio prendere a prestito le parole di Pablo Trincia (in “Come nascono le storie”): Se scavi nel passato, trovi il futuro.
Ecco, penso sia una descrizione quanto mai calzante del viaggio di scoperta del Mare Nostrum che facciamo insieme al libro di Lorenzo Cipriani. Ed è il motivo per cui ho scelto di parlartene.
Navigare il Mediterraneo significa accettare il suo tempo, anche quando sembra diverso dal nostro. Un tempo che segue ancora i ritmi antichi, come quando Plinio il Vecchio scriveva che "la primavera apre i mari a coloro che navigano". Sì, perché d’inverno era mare clausum: si navigava dal giorno di San Giorgio al giorno di San Demetrio, da maggio a ottobre. E per certi versi, per fortuna, non è cambiato molto: gli stessi venti, le stesse rotte, gli stessi porti. Come se il mare custodisse una saggezza che noi, nella nostra fretta contemporanea, abbiamo dimenticato.
Pagina dopo pagina, onda dopo onda, seguendo Cipriani nel suo viaggio ci si ritrova a pensare al legame profondo tra vento e anima. Non è un caso che in greco antico ánemos e anima condividano la stessa radice. Il vento è il respiro del mare, il narratore invisibile che per millenni ha trasportato non solo le navi, ma anche le storie, le idee, i sogni da una sponda all'altra. Lo scirocco che porta con sé la sabbia del Sahara, tingendo di rosa le montagne innevate, rinnova ogni anno il racconto delle connessioni ancestrali tra Africa ed Europa.
Ed è straordinario come ogni porto, ogni isola di questo mare contenga infinite storie intrecciate, come fili di un arazzo immenso. A Patara, sulla costa turca, un vescovo che proteggeva i marinai è diventato, attraverso secoli di trasformazioni, il Babbo Natale che conosciamo oggi. Nelle acque di Genova, il destino ha fatto incontrare Marco Polo e Rustichello da Pisa in una prigione, dando vita al più grande racconto di viaggio mai scritto. Come se il mare stesso orchestrasse questi incontri, sapendo che da ogni intreccio nascerà una storia nuova.
Ma è nei momenti di silenzio che il Mediterraneo rivela la sua vera essenza. Quando Cipriani si ferma mezz'ora davanti alle onde "senza fare niente", ci ricorda qualcosa che abbiamo dimenticato: l'arte di ascoltare. In un'epoca ossessionata dalla produttività, il mare ci insegna il valore della pausa, del vuoto, dell'attesa. Come i pescatori della costiera amalfitana che ogni giorno scendono centinaia di gradini per raggiungere le loro barche: quel tragitto verticale è anche un viaggio interiore, un momento per preparare l'anima all'incontro con l'acqua.
E così ci ritroviamo a pensare che è proprio in questi spazi di silenzio e ascolto che gli dei dell'Olimpo continuano a vivere. Non come reliquie del passato, ma come archetipi che ancora animano le nostre vite. Li ritroviamo a Istanbul, dove le preghiere cristiane e musulmane si sono sovrapposte per secoli sotto le cupole di Santa Sofia, come onde che si susseguono sulla stessa spiaggia. Li sentiamo nelle voci dei mercati di spezie, negli sguardi dei pescatori all'alba, nelle risate dei bambini che giocano sui moli.
Il mare osserva tutto questo con la pazienza di chi ha visto passare millenni. Come dice Verga, "non ha paese, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare". È di chi non giudica, ma accoglie. È di chi non divide, ma unisce.
Non un mare che ci appartiene, ma un mare a cui apparteniamo.
Chiudo il libro di Cipriani e mi ritrovo a pensare che ogni viaggio per mare è anche un viaggio dentro di noi. Le tempeste passano, il sole torna sempre a splendere, ma è nel ritmo incessante delle onde che ritroviamo la nostra vera natura. Mediterranea, profonda, infinita.
Come avrai intuito, libro consigliatissimo!
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